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Verruche, batteri e fughi: come evitare le insidie in piscina

E’ una comoda alternativa alla spiaggia ma occorre stare attenti alle condizioni igienico-ambientali. Un ecosistema dove proliferano microrganismi

Verruche, batteri e fughi: come evitare le insidie in piscina

di TINA SIMONIELLO
COSTA meno del mare e ci si arriva anche con i mezzi pubblici . La piscina è una comoda alternativa alla spiaggia. Ma è anche un ecosistema, caldo-umido (e affollato), particolarmente adatto alla proliferazione di microrganismi: batteri, virus, funghi, protozoi che entrano in piscina insieme a noi (i principali inquinatori delle piscine sono proprio gli utilizzatori), che una volta in acqua non sempre è facile scacciare (alcuni patogeni resistono al cloro per ore o anche giorni) e che soprattutto sono responsabili di infezioni di pelle e mucose, dovute al contatto, e di patologie intestinali, provocate dall’ingestione di acqua contaminata.

INTERATTIVO

Dal 2004 è in vigore una disciplina che regolamenta al dettaglio i requisiti igienicoambientali delle piscine: qualità dell’acqua, temperatura, quantità di cloro, tempi di trattamento. Possiamo stare piuttosto sereni, dunque, sulle condizioni microbiologiche delle nostre “spiagge urbane”. Tuttavia conoscere i più comuni microscopici nemici, e soprattutto sapere in che modo prevenire un incontro ravvicinato con loro, può aiutare a evitarli meglio o in caso, a prendere immediatamente tutte le misure necessarie ad una rapida guarigione.

I virus. Le verruche sono dovute al papilloma virus, Hpv, che dà origine a piccoli noduli di pelle ispessita. Enzo Berardesca, direttore della Dermatologia clinica del San Gallicano di Roma spiega: «Hpv è piuttosto contagioso, difficile evitarlo se è nell’ambiente». La forma di prevenzione? «Cercare di tenere i piedi asciutti e non sostare a piedi nudi intorno alla piscina. La cura standard per le verruche è la crioterapia, se molto diffuse gli immunomodulatori. Un altro virus da piscina è l’agente del mollusco contagioso: il molluscipoxvirus, che colpisce la cute dà luogo a papule, con una piccola pustola, gialla e consistente in cima: il corpo del mollusco appunto. Anche qui: crioterapia o spremitura e disinfezione ». La prevenzione?
«Difficile», dice l’esperto, «andrebbe individuato e trattato il soggetto portatore».

I batteri e i funghi.
Il piede d’atleta è la micosi da piscina più comune il cui nome scientifico è Tinea pedis, «il piede d’atleta è dovuto a diversi tipi di tricofiti, funghi la cui presenza si manifesta con vescicole cutanee che danno prurito e che, se si annidano tra le pieghe della pelle (tra le dita del piede ma anche all’inguine e in altre zone di piega…), si desquamano e se si infettano possono dare luogo a infezioni miste: fungo più batterio, candida ecc…». Per evitarli è importante l’uso di ciabatte e di asciugamani personali in piscina e spogliatoi. La cura consiste in 3-4 settimane di antimicotici in crema, spray, lozione polvere. Se l’infezione è diffusa allora si passa ai farmaci per bocca. Attenzione: i funghi che colonizzano la cute possono annidarsi anche nell’unghia che diventa gialla, grossa spessa.
La terapia non cambia: i prodotti sono gli stessi. Ma si allungano i tempi: la soluzione delle onicomicosi richiede mesi di terapia, non settimane.

Lo stafilococco è un batterio comune in piscina. «Si annida nelle piccole ferite o nelle punture d’insetti grattate (tipiche dei bambini). È molto contagioso, dà luogo a bollicine liquide giallognole contenenti un siero che si diffonde sulla cute provocando autoinoculazione o che col contatto contagia altri».

Terapia? 7 10 giorni di antibiotici topici e se l’infezione è diffusa, anche in questo caso si passa a farmaci sistemici. Gli stafilococchi, con clamidia, pseudomonas e alcuni virus sono responsabili anche delle congiuntiviti da piscina. Un  onsiglio? L’uso di occhialini impermeabili, che oltre dai microrganismi proteggono dal cloro, che è un ottimo disinfettante, ma ha anche un potere irritante: dopo la piscina è buona regola eliminarlo da tutto il corpo con una lunga doccia. Oltre alla congiuntivite da piscina c’è l’orecchino del nuotatore: pseudomonas e stafilococco possono infatti provocare una otite media, generalmente monolaterale. È bene sempre eliminare l’acqua residua dalle orecchie.

Dita avvizzite. Corriere della Sera online

Ecco perché se stiamo troppo a mollo
le dita delle mani «avvizziscono»

Lo strato corneo, cioè la parte più superficiale della pelle, è costituito da cheratina, una proteina che ha la capacità di legarsi all’acqua e alle sostanze grasse

di Paola Arosio

 

«Lucia, sbrigati! Vieni fuori!». «Marco, esci! È più di mezz’ora che stai dentro!». Mamme che, a ogni inizio stagione, quando le giornate si fanno più calde e soleggiate, sbraitano ai figli, recalcitranti, di uscire dal mare o dalla piscina. Spesso facendo leva su un segnale tipico, che tutti conosciamo: le dita grinzose dei piccoli, rimasti troppo a lungo a mollo. Ma è vero che queste pieghe indicano che è tempo di abbandonare l’acqua? «Anche se le grinze sono del tutto fisiologiche, meglio non esagerare con la permanenza in acqua, che causa un’eccessiva macerazione della pelle – suggerisce Enzo Berardesca, direttore dell’Unità operativa di Dermatologia clinica all’Istituto dermatologico San Gallicano di Roma -. Se a questo avvizzimento si sommano altri segnali, come brividi, pallore, labbra violette, che indicano che il bambino è infreddolito, allora è meglio farlo uscire, avvolgendolo poi in un asciugamano».

La cheratina si gonfia

Dopo circa un quarto d’ora, le dita dal caratteristico aspetto “a prugna secca” cominceranno a tornare lisce e rosee. Si tratta di un evento normale e reversibile, controllato dal sistema nervoso. Prova ne è il fatto che, se i nervi delle estremità sono lesionati, questo fenomeno non si verifica. Secondo le teorie scientifiche attualmente più accreditate, le dita a mollo avvizziscono a causa di un semplice meccanismo osmotico. «Lo strato corneo, cioè la parte più superficiale della pelle, è costituito da cheratina, una proteina che ha la capacità di legarsi all’acqua e alle sostanze grasse – spiega Berardesca -. Dopo circa trenta minuti di immersione, la cheratina assorbe acqua gonfiandosi. Ciò non accade negli strati più profondi della pelle, col risultato che lo strato corneo diventa più ampio rispetto alla superficie sottostante e di conseguenza forma delle pieghe. Il fenomeno è chiaramente visibile sulle mani e sui piedi perché in queste zone la cheratina è più abbondante rispetto alle altre parti del corpo. Ma anche capelli e unghie sono ricchi di cheratina, che si lega all’acqua. Tant’è che, come effetto, le unghie diventano più morbide e i capelli più ondulati».

 

Come gli pneumatici?

Le dita avvizzite sono, quindi, una conseguenza dell’umidità sulla pelle. Non avrebbero lo scopo di migliorare la manualità e la capacità di grasping (afferrare gli oggetti) in acqua, come era stato ipotizzato in una ricerca del 2013, che aveva paragonato la funzione delle dita grinzose a quella dei pneumatici sull’asfalto. «Una teoria affascinante e fantasiosa, ma non dimostrata», sostiene Berardesca. Guarda caso, già al momento della pubblicazione, lo studio aveva suscitato non poche perplessità tra gli addetti ai lavori.